lunedì

Iconografia della seta

NELL'ARTE...





 ABBIGLIAMENTO IN SETA

  Tacuina sanitatis (XIV century)

Iconografia della seta

NELL' INNOVAZIONE...


                                          Il filatoio intermittente


Il filatoio intermittente è una macchina ottimale per la realizzazione di filati cardati di elevata qualità.
I principali vantaggi del filatoio intermittente sono:
1) capacità di stiro continuo su un campo da 3 a 6 m ampiamente superiore al sistema ad anello. L’esperienza confermata da recenti test di laboratorio, dimostrano che lo stiro avviene in modo naturale (senza causare stress sulle fibre e sul filo) e più uniformemente quanto più la forza di trazione è distribuita su un campo molto ampio di agugliata.
2) torsione continua del filato (senza la falsa torsione del sistema ad anello).
Il filo mantenuto in costante stato di torsione prima e dopo l’avvolgimento sulla bobina, evita un rilassamento irregolare delle fibre sull’asse di avvolgimento e quindi contribuisce a mantenere altissimo il valore Uster di uniformità. Riduce il rischio di rotture in fase di stiro e dimensionalità del filato in presenza di fibre corte e fini come il cashmere e l’angora o di miste di fibre di diversa natura, finezza e lunghezza.

Iconografia della seta

NEI FUMETTI..
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L'UOMO RAGNO
nuova serie nº 169 (441)
Marvel Italia
13 Luglio 2006

Iconografia della seta

NEI FRANCOBOLLI...


 - La via della seta

Emesso in turchia nel 1982


70 L.

mercoledì

Curiosità... dal codice di procedura civile

Art. 516
Cose pignorabili in particolari circostanze di tempo



I. I frutti non ancora raccolti o separati dal suolo  non possono essere pignorati separatamente dall'immobile a cui accedono, se non nelle ultime sei settimane anteriori al tempo ordinario della loro maturazione, tranne che il creditore pignorante si assuma le maggiori spese della custodia.
II. I bachi da seta possono essere pignorati solo quando sono nella maggior parte sui rami per formare il bozzolo.

Iconografia della seta

NEI GIORNALI...


articolo tratto dal giornale " La Stampa"

edizione numero 134 del 16/06/1989

l'articolo tratta del bombice del gelso che in Veneto sta scomparendo



Iconografia della seta

NELLA LETTERATURA....



ROMANZO: SETA

                                        

    


AutoreAlessandro Baricco
1ª ed. originale1996
Genereromanzo
ProtagonistiHervé Joncour

Iconografia della seta

NEL CINEMA...

FILM: SETA

ANNO: Canada / Francia / Italia / Regno Unito 2007
GENERE: Drammatico
REGIA: Francois Girard
CASTMichael PittKeira KnightleyAlfred Molina, Koji Yakusho, Sei Ashina, Miki Nakatani, Jun Kunimura, Mark Rendall, Kenneth Welsh, Callum Keith Rennie.
DURATA: 110 '
                                                      
  TRAILER





domenica

OCCORRENZE IN LETTERATURA...

La mia letizia mi ti tien celato
che mi raggia dintorno e mi nasconde
quasi animal di sua seta fasciato.


           DIVINA COMMEDIA    DANTE ALIGHIERI

giovedì

ABBECEDARIO

mercoledì

DIZIONARIO

inglese: silk    Regno Unito – Bandiera

cinese: 絲綢           Cina – Bandiera   
spagnolo:de sedaSpagna – Bandiera
tedesco:seide   Germania – Bandiera
russo:шелк            Russia – Bandiera
latino:sericum  Impero romano - Stemma
greco:μετάξl            Grecia – Bandiera
giapponese:シルクGiappone – Bandiera

           francese: soie           Francia – Bandiera




    ETIMOLOGIA:

    lunedì

    La seta: industria e commercio in Italia dalla metà dell’Ottocento alla grande crisi

    fotografia tratta da un industria serica di reggio calabria
    Il voler porre l’attenzione sulle caratteristiche della produzione e del commercio della seta deriva dalla grande importanza rivestita da tale settore nel processo di sviluppo economico italiano, sia in epoca preindustriale che durante il processo di industrializzazione.
    Con riferimento in particolare a questo secondo momento, riportiamo ed analizziamo la tesi sostenuta da autori quali Luciano Cafagna e Giovanni Federico; il settore serico è da essi interpretato come quel settore che ha “dato un contributo significativo, e forse essenziale e strategico, all’ingresso dell’Italia, lungo il secolo XIX, entro il ristretto novero dei paesi industriali, o a “crescita economica moderna” (come la definì Simon Kuznets), sia pure “ritardatari”. (L. Cafagna, Introduzione a G. Federico, 1994, “Il filo d’oro. L’industria mondiale della seta dalla restaurazione alla grande crisi”, Venezia: Saggi Marsilio, p. 12)
    Quest’ipotesi è da essi sostenuta in quanto si collega ad alcune suggestioni concettuali della teoria dello sviluppo economico formulate negli anni ’50 e ’60. Queste sono:
    ·        modello dello sviluppo export-led, guidato dalle esportazioni, sostenuto particolarmente da Hla Mynt: i flussi di esportazione dei prodotti primari sono visti come premessa alla formazione di capitale investibile in questi paesi caratterizzati da un’economia ancora agricola. La produzione della seta in Italia era una tipica attività outward-looking (molto richiesta sul mercato internazionale in un’ottica di lungo periodo), che beneficiava di un oligopolio geoclimatico, di costi di transazione particolarmente favorevoli e di una privilegiata posizione di mercato.
    ·        teoria della formazione dei mezzi di pagamento, formulata da H. B. Chenery, secondo la quale condizione necessaria per l’accumulo di un’adeguata base iniziale di investimenti è la possibilità di importare fonti di energia, macchinari, materie prime.
    In Italia, la formazione dei mezzi di pagamento è stata consentita, per una larga parte, dal ricavato delle esportazioni della seta greggia e filatoiata.
    ·        modello del settore traente di Walt Rostow e dello staple product dei canadesi Innis e Watkins: per una particolare produzione, la possibilità di formare un flusso imponente di export è determinata da circostanze peculiari, dal verificarsi di una “occasione storica” che, nel caso della seta, è rappresentata da una posizione di oligopolio climatico territoriale e dalla presenza di economie nei costi di transazione.
    ·        teoria dei linkages di Albert Hirschman che suggerisce come, all’interno di una singola produzione merceologica, possano essere più o meno presenti effetti propagativi di sviluppo. Per quanto riguarda la seta, molti e significativi sono i linkages del settore; Cafagna ne rileva alcuni quali “una vasta intermediazione commerciale e finanziaria nata sul commercio delle sete, l’addestramento contadino a seguire o anche solo subire le variabili quotazioni dei prezzi, l’avvio sia pur solo stagionale al trasferimento nel lavoro esterno di fabbrica della famiglia rurale, la sperimentazione di un elementare lavoro di squadra, l’handling appreso nel paziente lavoro di un filo sottile e disperante, e poi il fabbisogno numeroso di aggeggi, magari rudimentale (ma neanche tanto) meccanici, e quindi di produzione e riparazione di macchinari per le diffuse tratture e le meno diffuse torciture”. (L. Cafagna, Introduzione a G. Federico, 1994, “Il filo d’oro. L’industria mondiale della seta dalla restaurazione alla grande crisi”, Venezia: Saggi Marsilio, p.15)
    ·        modello della formazione di un serbatoio di manodopera rurale a basso costo per l’industrializzazione di Lewis-Fei Ranis di cui l’Italia settentrionale rappresentava un buon esempio, caratterizzato anche da fenomeni di part-time e di pendolarismo prima di cedere all’industria il suo intero serbatoio di manodopera.
    I sopraccitati autori definiscono il settore serico uno “storico business” che ha sostenuto la crescita industriale italiana e il suo avvicinamento al percorso di sviluppo delle nazioni più avanzate. La seta ha seguito una parabola di forte ascesa entro il mercato mondiale, succeduta però da una fase di decadenza per un effetto “fine-del-ciclo-del-prodotto”.
    L’evoluzione del settore serico in Italia dagli inizi del XIX secolo alla Grande crisi del 1929, evidenzia come la seta abbia svolto un ruolo cruciale per la crescita economica nel nostro Paese ma abbia, d’altro canto, “fatto nascere il suo stesso assassino” (G. Federico, 1994, “Il filo d’oro. L’industria mondiale della seta dalla restaurazione alla grande crisi”, Venezia: Saggi Marsilio); lo sviluppo economico e della società, ai quali il settore serico aveva fortemente contribuito, giunsero a tal punto da rendere lo stesso settore serico troppo oneroso, in termini soprattutto di costo economico e sociale della forza lavoro, rispetto a più convenienti alternative che si andavano nel frattempo creando.


    L’evoluzione cronologica di lungo periodo

    Alla fine del XVII secolo, la produzione della seta era sviluppata solamente in alcune zone del continente europeo ed asiatico. In Europa l’area trainante era l’Italia settentrionale, seguita dalla Francia meridionale, dalla Spagna e dalla regione dei Balcani, mentre nel continente asiatico la produzione si concentrava attorno a Shangai e a Canton in Cina, nell’isola di Honshu in Giappone ed in alcune zone dell’India, della Persia e del Turkestan.
    Questo scenario era destinato a rimanere stabile per oltre due secoli, tanto che, ancora nel XIX secolo, le due grandi aree guida, sostanzialmente autonome ed autosufficienti, rimanevano l’Europa e l’Estremo Oriente.
    Per quanto riguarda l’Europa, è da evidenziare come all’interno del continente fosse avvenuta, a partire dal XVIII secolo una netta separazione geografica tra le fasi di produzione e di lavorazione della seta: le prime erano localizzate nel bacino del Mediterraneo, mentre la lavorazione veniva effettuata principalmente nei paesi dell’Europa settentrionale. Le ragioni di tale separazione sono da ricercarsi in fattori prevalentemente climatici; la coltivazione del gelso e l’allevamento del baco sarebbero stati possibili anche nell’Europa settentrionale, ma l’elevato costo per il riscaldamento degli ambienti dove allevare i bachi ed il rischio di perdita della foglia avrebbero reso l’attività poco competitiva.
    Analizzando in particolare il caso dell’Italia nella prima metà dell’Ottocento, la produzione serica, come già esposto, era concentrata soprattutto al Nord, specialmente in Piemonte e in Lombardia. In queste aree, privilegiate dal punto di vista climatico, si era andata formando una tradizione, risalente almeno al XVI secolo, di coltivazione dei gelsi, di allevamento dei bachi e di trasformazione dei bozzoli in filo di seta pronto per la tessitura.
    Le tecniche utilizzate in queste prime operazioni del ciclo serico erano all’avanguardia rispetto al resto dell’Europa.
    Nei primi decenni successivi alla Restaurazione la domanda di prodotti tessili, tra cui cotone, lana ma anche seta, aumentò notevolmente; ciò fu dovuto all’incremento dei consumi sia nell’Europa occidentale che nell’America del Nord e comportò un aggiornamento delle tecniche di lavorazione.
    Intorno agli anni ’50, in Piemonte e in Lombardia erano attivi circa 700-800 stabilimenti di torcitura della seta, in gran parte azionati ad acqua e i lavoratori addetti alle fasi di trattura e torcitura erano circa 150 mila. Si trattava per lo più di manodopera rurale impiegata stagionalmente in piccoli laboratori dislocati nelle campagne.
    Alcuni autori sostengono che fu proprio in questi opifici che nacque la prima educazione al lavoro industriale e che proprio il commercio della seta comportò il primo interessamento ad un’attività non soltanto agricola da parte di capitalisti e commercianti-banchieri e l’afflusso di imprenditori svizzeri e tedeschi.
    Il settore serico contribuì a formare “economie esterne”, ossia permise di sviluppare altre produzioni industriali ad esso in qualche modo connesse ed è in tal senso che può essere considerato come traente per l’economia italiana dell’Ottocento.
    La fase finale di lavorazione del prodotto serico, la tessitura, ha sempre rivestito, rispetto alla trattura e alla torcitura, un ruolo di minore importanza. Questo perché l’economia italiana non era in grado di soddisfare il mercato dei consumatori finali, controllato dall’industria straniera, e preferiva evitare battaglie competitive limitandosi a sfruttare il suo oligopolio naturale favorevole alle fasi che portavano dalla gelsibachicoltura alla produzione del filo di seta. Difficile fu comunque anche lo sviluppo della lavorazione intermedia della torcitura, cioè della fase che forniva il filato vero e proprio.
    Fino ai primi anni dell’Ottocento essa rimase limitata al Piemonte dove vigeva una politica mercantilistica che proibiva l’esportazione della seta greggia, ma che non era talmente forte da estendersi anche all’esportazione dei filati da tessere.
    Un brusco arresto della produzione serica avvenne in Italia, e più in generale in Europa, verso la metà dell’Ottocento, a causa della comparsa della pebrina, una malattia di eccezionale gravità, incurabile, contagiosa ed ereditaria che colpiva i bachi.
    La pebrina sembra aver addirittura minacciato la scomparsa dell’intera sericoltura europea, dato che gli animali infetti, anche se riuscivano a sopravvivere e a deporre seme, generavano bachi destinati sicuramente a morire. Considerando che le tecniche del tempo non permettevano di capire se il seme era contagiato, unica soluzione per ridurre il manifestarsi della malattia era importare seme da zone non colpite dalla pebrina. Ciò non era comunque garanzia di successo, dato che questo avrebbe potuto infettarsi durante l’allevamento.
    Fu così che si instaurò, a partire dal 1860, un fitto commercio di seme-bachi proveniente dal Giappone, che contribuì a mutare radicalmente alcuni aspetti relativi alla gelsibachicoltura.
    Importare seme significò certamente innalzare i costi di produzione, nonché aumentare il grado di rischio caratterizzante il settore dovuto alla possibilità di un esito infelice dell’allevamento.
    Si ebbe di conseguenza una contrazione dell’offerta europea di seta, che permise alle esportazioni asiatiche di conquistare ampi spazi di mercato. Questa opportunità fu sfruttata in particolar modo dal Giappone, che solo da poco si era aperto all’Occidente, poiché la produzione cinese risentiva della rivolta interna dei Tai’ping.
    A causa della crisi pebrinica, nel settore serico avvenne anche un’altra piccola rivoluzione: l’Italia spostò la sua attenzione dalle fasi iniziali di lavorazione dei bachi alla fase finale della filatura, cioè la torcitura. Ciò è testimoniato dal fatto che la quota di seta completamente filata sulle esportazioni totali di questo prodotto aumentò dal 17% all’80% nel periodo tra il 1855 ed il 1865. L’incremento della filatura, che si concentrò principalmente in Lombardia, comportò forti mutamenti nell’atteggiamento degli imprenditori, quali una maggiore propensione all’adozione di innovazioni tecnologiche e una maggiore attenzione alla qualità dei prodotti.
    La produzione europea -in sostanza italiana- ritornò sui livelli precedenti la crisi attorno al 1870.
    L’industria tessile italiana, nei suoi rami fondamentali della seta e del cotone, raggiunse tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento la piena maturità; essa concorreva a formare il 40% circa delle esportazioni complessive nonché il 60% di quelle non alimentari. Forniva occupazione a circa un terzo degli operai rilevati dal censimento del 1911 e, secondo le stime ISTAT, nel 1913 il valore aggiunto di questo settore rappresentava il 20% del totale prodotto dall’industria manifatturiera.
    Nello stesso periodo è da evidenziare anche un progressivo sviluppo della tessitura industriale: secondo alcuni dati riportati da Cafagna, “nel 1876 vi erano nel comparto seta solo 250 telai meccanici e 12 mila a mano; nel 1890 le proporzioni erano 2 mila e 500 e 12 mila e ancora nel 1898 i telai meccanici erano 3 mila contro i 12 mila a mano. Nel 1912 troviamo rovesciato questo rapporto: 15 mila telai meccanici contro 5 mila a mano.”
    Questo cambiamento è senza dubbio il risultato di ingenti investimenti: la produzione con i telai a mano non era certamente capital intensive, poiché tale macchina costava appena 200 lire ed era capace di un prodotto sulle 3 mila lire annue. Un telaio meccanico costava invece mediamente 6 mila lire e produceva fra le 8 e le 9 mila lire di tessuto. Fra il 1898 ed il 1912 si stima dunque un investimento complessivo pari a 72 milioni di lire dell’epoca.
    La produzione ed il commercio di seta aumentarono, dal 1870 in poi, non solo a livello europeo, ma anche su scala mondiale. Ciò fu dovuto alla crescente domanda della tessitura europea e nel contempo anche di quella americana.
    Il mercato internazionale era caratterizzato da un elevato rapporto commercio/produzione, poiché grandi produttori quali l’Italia, il Giappone e forse la Cina esportavano una larga quota di ciò che producevano: l’Italia esportò, negli anni dal 1870 al 1920, oltre l’80% della produzione, mentre il Giappone fra metà e tre quarti.
    Nel 1913, il valore complessivo dell’interscambio (201 milioni di dollari) collocava la seta al diciassettesimo posto nell’elenco delle commodities e la sua quota sul commercio mondiale oscillava attorno all’1,5% del totale.
    Per avere un’idea di quali erano i settori che la precedevano, riportiamo la seguente tabella:
               

    Prodotto
    Valore complessivo dell’interscambio
    (in milioni di dollari)
    Cotone
    918
    Grano
    854
    Carbone
    656
    Legno
    535
    Lana
    525
    Pelli
    499
    Zucchero
    461
    Frutta
    449
    Semi oleosi
    375
    Carne
    359
    Caffè
    336
    Rame
    304
    Petrolio
    261
    Riso
    250
    Vino
    226
    Gomma
    210
    Seta
    201

     
    Fonte: G. Federico, 1994, p.12


    Fino agli inizi del XX secolo, gli equilibri mondiali sono rimasti pressoché invariati, mentre in seguito la situazione si è andata modificando con un progressivo aumento delle quote di mercato controllate dall’industria nipponica.
    Malgrado un temporaneo arresto causato dalla Prima Guerra Mondiale, alla vigilia della Grande crisi il commercio mondiale della seta raggiunse il suo massimo storico e due terzi di esso proveniva proprio dal Giappone.
    La crisi irrimediabile e definitiva del settore serico avvenne attorno alla metà del XX secolo: la Grande crisi del 1929 ed il secondo conflitto mondiale ridussero drasticamente i consumi di un bene di lusso come la seta.
    Nonostante un tentativo di ripresa nel dopoguerra, il settore non ha mai più raggiunto la dimensione della fine degli anni Venti, in seguito anche della concorrenza delle nuove fibre sintetiche quali il rayon e artificiali come il nylon.
    Inoltre, la mappa dei paesi produttori è stata completamente stravolta: l’Europa ha abbandonato la produzione della seta; il Giappone, che non ha visto scomparire il setificio solo grazie a misure protezionistiche, è diventato importatore netto di materia prima; la Cina è dunque rimasta l’unica esportatrice, almeno fino a quando, in anni recenti, nuovi concorrenti come Thailandia, Corea e Brasile non si sono affacciati sul panorama mondiale.
    Utilizzando un’espressione di Gueneau, si può dire che il ciclo secolare si è concluso con il “ritorno alla culla della sericoltura”.

    Il sistema organizzativo serico in età pre-industriale


    Il sistema organizzativo produttivo serico in età preindustriale, era, come per il lanificio, quello della manifattura disseminata o decentrata. Con questa espressione si descriveva il processo di lavorazione che veniva svolto in luoghi differenti, la cui  caratteristica principale consisteva nel fatto che alcune operazioni venivano eseguite direttamente nelle abitazioni dei lavoratori, i quali utilizzavano strumenti di produzione di loro proprietà ed altri che venivano forniti dal mercante imprenditore. Possiamo notare che a Verona e Vicenza, in particolare, questo sistema produttivo organizzativo non era l’unico: accanto alla figura del mercante imprenditore troviamo la presenza di piccoli produttori che lavoravano, su commissione, per il mercante.
    Anche se la struttura organizzativa rimane pressoché la stessa, favorita soprattutto dal fatto che i mercanti serici vicentini e veronesi erano anche imprenditori lanieri (facilitando così la trasmissione del sistema organizzativo), per il setificio assistiamo ad una sostanziale differenza per quanto riguarda la bottega del mercante imprenditore.
    Differentemente dal lanificio, la bottega del mercante imprenditore divenne luogo in cui: si concentrava la direzione delle diverse fasi lavorative; si controllava che al di fuori, nei domicili dei vari artigiani, venissero svolte le lavorazioni; si teneva la contabilità.
    Per quanto riguarda la collocazione dei prodotti sui mercati, questa segue lo stesso principio che abbiamo visto nell’organizzazione del commercio collegata al lanificio. Anche in questo caso i sistemi sono due: quello del sistema di aziende e quello dell’agente commissionario. Per vendere i prodotti serici, i mercanti stipulavano un contratto di compagnia con il proprio direttore operante nel paese di interesse, il quale diventava così loro socio. Questa era fondamentalmente l’organizzazione commerciale adottata dalle grosse compagnie toscane, ad esempio quelle fiorentine e lucchesi. In Veneto, il sistema maggiormente usato era quello dell’agente commissionario; in questo caso il mercante operava tramite un commissionario che veniva pagato  con una provvigione basata sul ricavato delle vendite. Troviamo però una particolarità per quanto riguarda il setificio: per questo settore è stato dimostrato che, molto spesso, l’agente commissionario del mercante veneto poteva essere ad esempio uno di quei mercanti fiorentini o lucchesi che avevano fatto dei contratti di compagnia per operare a Lione, ovverosia il mercante che aveva fatto un contratto di compagnia con il direttore della filiale di Lione, il quale poteva essere l’agente commissionario di un altro.

    LA DIFFUSIONE DELLA SETA IN ITALIA

    La crescita della produzione serica in Italia iniziò con la fine del Quattrocento: in questo periodo il paese si presentava soprattutto come un’area di produzione di materia prima, di seta grezza.
    Inizialmente la diffusione della seta grezza avvenne nell’Italia meridionale, soprattutto in Calabria e Sicilia, aree in cui maggiormente veniva effettuata la coltivazione dei gelsi. Successivamente, a partire dal XV secolo, questa cominciò a diffondersi in varie zone della Pianura Padana; una delle aree a maggior concentrazione produttiva di materia prima fu proprio la terraferma veneta, in particolare i territori di Vicenza e Verona che in seguito diverranno i più grossi produttori europei di seta grezza.
    Come si può immaginare, la seta grezza poteva essere esportata e ciò implicava uno svantaggio economico non trascurabile, in quanto il valore aggiunto si trovava sul prodotto finito e non sul semilavorato. Quindi, se un paese si specializzava sulla materia prima, non poteva certamente rappresentare il paese guida ed è proprio per questo che l’Italia, da dominatrice dell’economia europea, fu sottoposta al superamento da parte dei paesi del Nord Europa.
    Malgrado questo, in Italia persistettero città come Lucca, Firenze, Milano e Genova che producevano il manufatto finito; è importante inoltre ricordare Bologna, che si specializzò in una produzione particolare di drappi serici: il velo da seta, un tessuto molto leggero che doveva essere trattato per essere completato.
    Se il 1146, con l’apertura di setifici a Palermo, Reggio Calabria, Catanzaro e Messina, segnò l’inizio della grande arte serica italiana, il 1272 vide aperta a Bologna, dal lucchese Francesco Borghesano, la prima torcitura.












    Foto: Anni '30. Lavorazione dei bachi da seta a montalicino

    Il declino italiano



    La produzione di bozzoli in Italia comincia a declinare nel periodo tra le due guerre mondiali fino a scomparire dopo l'ultima, a causa di due fattori: la produzione di fibre sintetiche e il cambiamento dell'organizzazione agricola. Con l'inurbamento e l'industrializzazione la concorrenza estera divenne insostenibile. Continuarono a produrre, grazie alle tecnologie avanzate e all'alta qualità dei prodotti destinati alla moda e all'arredamento, le tessiture e stamperie del centro-nord, che lavoravano seta cinese. Ora che i paesi asiatici si stanno massicciamente industrializzando e il loro livello tecnologico e qualitativo si adegua alle esigenze occidentali la loro concorrenza è diventata insostenibile: molti produttori italiani si limitano a commercializzare coi loro marchi prodotti interamente realizzati all'estero. Nel 1900 i maggiori esponenti dell' industria serica italiana furono le famiglie Gavazzi e Ferrario (cav. comm. grande uff. Angelo Ferrario, presidente nazionale ed internazionale dell'industria serica dal 1913 al 1929) e la ditta Schmid. La Schmid aveva stabilimenti a Cavenago di Brianza (MB) ed a Cassolnovo (PV), ma aveva sede a Milano. A Cavenago venne prodotta tutta la stoffa usata per ricoprire i palchi e le pareti del teatro alla Scala di Milano dopo i bombardamenti subiti nella seconda guerra mondiale. Sempre a Cavenago venne confezionata tutta la stoffa usata per produrre il manto della Regina d'Italia, Elena del Montenegro.